In scena a Milano per Padiglione Teatri l'Otello del Teatro degli Incamminati. Una interessante rilettura dell'immortale dramma shakespeariano in una straniante contemporaneità.
A quattro secoli dalla sua originaria messa in scena, il dramma della gelosia per antonomasia continua ad affascinare gli spettatori di tutto il mondo, e l’Otello in cartellone per Padiglione Teatri testimonia la duratura fortuna del testo. Il teatro, arte che vive dell’immediatezza, può patire a volte l’inatteso intervento della realtà, ed è ciò che è successo in questo caso: per un imprevisto, l’interprete di Iago (Antonio Zavatteri) non ha potuto prendere parte alla rappresentazione ed il suo ruolo è stato ricoperto dal regista Carlo Sciaccaluga in una versione “di prova” del personaggio. E’ doveroso sottolineare quindi che questa recensione non si riferisce allo spettacolo “ufficiale”.
Sciaccaluga ambienta il suo Otello in una modernità difficile da contestualizzare temporalmente, nella quale i personaggi indossano eleganti completi da ufficio e tute mimetiche ma a Venezia ancora regna il Doge – anzi, la Doge. In questo peculiare presente si dipana il dramma del “moro” Otello e della sua sfortunata moglie Desdemona, vittime delle macchinazioni del diabolico – ma sublime – Iago e della corruttibilità dell’animo umano. La scenografia, un labirintico sistema di porte che si aprono e si chiudono, rappresenta sia Venezia che Cipro, sia i luoghi aperti che la camera in cui verrà portato a compimento il crimine di Otello. Una spettacolare cascata di abiti e scampoli di tessuto accompagna la transizione dalla repubblica marinara alla piccola isola nel mediterraneo. Un’idea efficace e originale, che si perde però un poco nella messa in scena tutto sommato tradizionale del dramma. Altrettanto interessante l’idea di far indossare a Otello una maschera che gli copre metà del viso, con una rivelazione finale non del tutto inaspettata ma che resta senza una chiara spiegazione.
Fra gli attori spicca la prova di Filippo Dini, un Otello che interpreta in modo magistrale la transizione del personaggio, da valoroso generale a mediocre uomo in preda ai suoi istinti più bassi. La trasformazione è quasi fisica, in una palpabile degradazione morale che Dini riesce a rendere più che evidente. Lo supporta un cast altrettanto valido, che non cade mai nelle stereotipizzazioni che spesso accompagnano i personaggi shakespeariani.
La regia di Sciaccaluga è dinamica, ma si stempera in una eccessiva fedeltà all’originale, quasi non volesse rischiare troppo con un testo così importante. Ma se uno dei punti di forza dei drammi di Shakespeare è proprio la duttilità, forse si sarebbe potuto osare maggiormente, soprattutto con un testo che offre così tanti spunti psicologici. Una “prudenza” che un po' si scontra con l’evidente abilità di Sciaccaluga, un regista giovane ma già dotato di una cifra stilistica precisa.